IPERTENSIONE ARTERIOSA. Il killer silenzioso che colpisce spesso e a tutte le età. Come riconoscerlo e combatterlo al meglio seguendo Le nuove Linee Guida.

IPERTENSIONE ARTERIOSA: come e perchè la nostra pressione arteriosa si modifica

L’Ipertensione Arteriosa è una condizione che colpisce in Italia milioni di persone di tutte le età, anche molto giovani e che spesso non ne sono consapevoli; è caratterizzata dall’aumento della pressione sanguigna all’interno del sistema circolatorio arterioso del nostro corpo; scopriamo come riconoscerla e come curarla anche con i consigli e i recenti aggiornamenti delle Linee Guida della European Society of Hypertension (ESH) e degli specialisti europei della European Society of Cardiology.

La pressione all’interno delle arterie è legata a fattori fisici e biologici e risponde alle leggi basilari della fisica idrodinamica, dipendendo fondamentalmente da due fattori e cioè la forza con cui il ventricolo cuore pompa il sangue e le resistenze che i condotti arteriosi oppongono al flusso generato dalla pompa cardiaca; come sappiamo il cuore è funzionalmente suddiviso in due sezioni, quella destra e quella sinistra, entrambe con un ventricolo separato dall’atrio corrispondente da una valvola atrio-ventricolare (tricuspide e mitrale rispettivamente) e che spingono il sangue in due grandi arterie del corpo, la Polmonare e L’ Aorta, sempre rispettivamente dal ventricolo destro e da quello sinistro; per Ipertensione Arteriosa noi intendiamo genericamente la condizione di pressione elevata nell’aorta e nei suoi rami di divisione distribuiti in tutto il corpo umano, mentre per Ipertensione Polmonare intendiamo un’altra condizione patologica che riguarda per l’appunto la parte destra del cuore e il circolo polmonare, che non è argomento di questo articolo poiché rappresenta una entità patologica completamente diversa nel significato, nella prognosi e nella terapia.

Il fattore maggiormente responsabile dell’aumento della pressione arteriosa è l‘aumento della resistenza nelle arterie di piccolo calibro, dotate di capacità di vasocostrizione mediante contrazione della muscolatura della loro parete, in grado di offrire restringendosi o dilatandosi un ostacolo più o meno marcato al flusso sanguigno e per la legge della idrodinamica di aumentare la pressione all’interno del sistema di condotti arteriosi di alcuni distretti o di tutto il corpo; anche l’integrità dell’endotelio, la sottile membrana che riveste internamente i vasi sanguigni, è fondamentale nel mantenimento di uno stato fisiologico di contrazione delle arteriole e dei piccoli vasi di resistenza; un organo centrale per la regolazione di queste resistenze è il rene cosi come lo sono alcune sostanze prodotte sia a livello renale che di altre ghiandole come i surreni; sono inoltre fondamentali le capacità di autoregolazione delle piccole arterie, dipendenti sia da fattori intrinseci al vaso stesso che a sostanze prodotte dall’organismo in risposta a stimoli esterni o interni.

Quante sono le persone ipertese e chi tra noi potrebbe più probabilmente esserlo senza saperlo

I dati resi noti recentemente dalla OMS e dalle società scientifiche per lo studio della Ipertensione Arteriosa sono allo stesso tempo sorprendenti e allarmanti, visto che il numero di persone affette da ipertensione è in crescita in tutto il mondo e quello di coloro che non ne sono consapevoli è molto alto; in uno studio svedese presentato recentemente si è visto come quasi il 30% di ragazzi al sevizio di leva, quindi diciottenni, avesse dei valori di pressione arteriosa superiori a quelli ottimali/normali (120/80mmHg) e di questi quasi la metà, quindi poco meno del 15% del totale, potevano essere considerati ipertesi; di questi ragazzi seguiti poi nel tempo sino all’età matura e pre-pensionistica, circa il 10% di quelli che erano risultati ipertesi hanno sofferto un evento cardiovascolare acuto come ictus o infarto, mentre quelli normotesi non ne hanno avuti; questo dimostra che a differenza di quanto si creda, l’alterazione dei valori pressori si manifesta spesso sin dalla giovanissima età e pertanto è molto importante ricercarla negli adolescenti e persino nei bambini dai 6 anni in poi, con una semplice misurazione della pressione durante un controllo pediatrico di routine; sorprendentemente da alcune stime fatte dall’associazione dei Pediatri italiani la percentuale di ragazzi dai 6 ai 12 anni con valori di pressione arteriosa alterati sfiora il 5%, con grande prevalenza tra i bambini in sovrappeso, con abitudini alimentari sbagliate e con scarsa attività fisica; se prendiamo poi in considerazione i giovani adulti tra i i 20 e i 35 anni scopriamo che più del 10% di loro ha valori di pressione alterati o è francamente iperteso, portando la popolazione di soggetti a rischio o ipertesi under 35 a poco meno di 2 milioni secondo le stime più prudenti; se passiamo all’età maura o senile , con il progredire dell’invecchiamento del sistema cardiovascolare, la percentuale di persone ipertese passa a quasi il 35% nella popolazione generale e a più del 40% in alcuni gruppi selezionati per età e patologie concomitanti.

Tralasciando comunque i numeri, si evince quanto la problematica legata alla diagnosi di ipertensione sia rilevante, soprattutto perché come vedremo in seguito i danni che può provocare una ritardata o omessa diagnosi possono essere gravi e irreversibili e perché una semplice misurazione correttamente eseguita o l’aggiunta di alcuni esami di base possono porre una diagnosi tempestiva e fare una grande azione di prevenzione sul danno cardiovascolare. La misurazione della pressione arteriosa è importante da eseguire periodicamente, almeno una volta all’anno, durante una normale visita medica sopratutto nelle persone più a rischio di essere ipertese e cioè in chi ha una forte familiarità per ipertensione, chi è in sovrappeso e ha una vita sedentaria, nei diabetici e in chi assume normalmente farmaci antinfiammatori che tendono a ridurre l’eliminazione di sodio e trattenere liquidi nella circolazione; in maniera occasionale lo è ad ogni buon conto per chiunque di noi, come detto sin dalla giovanissima età, per una diagnosi la più precoce possibile.

Ipertensione primaria e ipertensione secondaria: le due forme eziologiche della condizione ipertensiva

L’Ipertensione primaria rappresenta circa il 95% dei casi di ipertensione e viene cosi definita perché in essa non è riconoscibile una unica causa modificabileo o meno, ma viene probabilmente provocata da una serie di alterazioni genetiche e condizioni acquisite, in grado di modificare profondamente e in maniera complessa la fisiologia del sistema circolatorio arterioso, provocando di fatto modificazioni patologiche alla base del rialzo costante e talora resistente dei valori pressori; l‘ipertensione secondaria rappresenta una percentuale esigua della casistica e viene spesso diagnosticata alle prime battute dell’iter diagnostico quando il paziente è giovane (< 40 anni); i valori alterati sono generalmente sia quelli sistolici che quelli diastolici e la sua gravità può variare molto a prescindere dall’età di presentazione (spesso giovanile ma non sempre), passando da una ipertensione lieve ad una severa (Grado 3) a una cosiddetta maligna, con valori sistolici anche superiori a 200/120 mmHg e danno d’organo che si verifica precocemente (anche in alcuni mesi piuttosto che normalmente in alcuni anni).

Le forme secondarie sono legate ad alterazioni specifiche ed evidenziabili come malattie delle arterie renali mono o bilaterali, patologie renali parenchimali, produzione anomala di ormoni come aldosterone, glicocorticosteroidi o catecolamine da parte di neoplasie benigne come feocromocitomi, paragangliomi o adenomi surrenalici. Queste forme vanno ricercate con appositi esami di laboratorio e di immagini come ecografia o TC/RMN con contrasto e trattate a seconda delle necessità con farmaci o interventi chirurgici.

Quali sono i valori normali e patologici della pressione arteriosa misurata nello studio medico : i gradi e gli stadi dell’Ipertensione arteriosa secondo la European Society of Hypertension (ESH)

Come è possibile vedere nella tabella 1 riportata in seguito(Linee Guida ESH 2023) esistono dei valori pressori considerati convenzionalmente ottimali, normali o patologici, quando la misurazione viene eseguita nello studio medico (Office Blood Pressure Measurement, OBPM). A differenza di quanto si creda, avere una pressione tendenzialmente bassa è sicuramente un vantaggio nella prevenzione delle malattie aterosclerotiche cardiovascolari (ASCVD), essendo l’incremento dei valori pressori, sopratutto di quelli sistolici o “massimi”, inequivocabilmente legati ad un aumento esponenziale del rischio di ammalarsi di ASCVD. Un pressione arteriosa inferiore ai 120/80 mmHg viene considerata ottimale, dove nelle raccomandazioni della società americana per la lotta all’ipertensione il valore di 115/75 viene già considerato il limite sopra il quale sarebbe meglio non andare per non vedere aumentato il proprio rischio cardiovascolare; valori inferiori a 140/90 sono considerati ancora normali ma progressivamente “alti” nella loro normalità, dove valori maggiori di 140 mmHg per la pressione sistolica (massima) e 90 mmHg per la pressione diastolica (minima) vengono considerati francamente anormali o patologici; esistono infatti 3 gradi di ipertensione caratterizzati dall’incremento di tutti e due i valori (ipertensione sisto-diastolica) o di uno solo di essi (ipertensione sistolica o diastolica isolata), dove una ipertensione di grado 3 ad esempio prevede la presenza di valori tensivi superiori a 180/110 mmHg. In base poi al grado della ipertensione ed alla eventuale coesistenza di danni causati dall’ipertensione stessa o di malattie come diabete o insufficienza renale , vengono definite anche 3 Stadi dell’ipertensione (vedi tabella 3 successiva), dove nello Stadio 1 non sono presenti danni d’organo, nello stadio 2 e 3 sono presenti malattie concomitanti come diabete o insufficienza renale e/o danni d’organo legati agli effetti dell’ipertensione.

Gli altri metodi di misurazione della pressione arteriosa: misurazione a domicilio e ambulatoriale: come e quando utilizzarli, quali i valori da tenere presente

Oltre alla misurazione “at-office” nello studio medico, esiste come noto oggi la possibilità di eseguire altri due tipi di valutazione clinica dei valori pressori, quella eseguita autonomamente al proprio domicilio (Home Blood Pressure Measurement, HBPM) e quella eseguita nelle 24 ore o “ambulatoriale”, nota anche come Holter Pressorio (Ambulatory Blood Pressure Measurement, ABPM). I valori soglia della normalità per le varie modalità di misurazione sono riportati nella tabella 2, sempre secondo le linee guida della ESH/ESC. Qualche parola riteniamo debba essere spesa su come eseguire la misurazione a domicilio e sulle indicazioni della misurazione delle 24 ore, per rendere più chiaro come e quando ottenere dei valori attendibili che possano essere utili al medico per decidere se iniziare una terapia specifica anti-ipertensiva o modificare quella già assunta dal paziente.

La misurazione a domicilio può essere fatta sia utilizzando apparecchi classici da studio medico con bracciale e pompa di gonfiaggio, ma in questo caso è preferibile sia un’altra persona a misurarla a noi che vogliamo controllarla, sia con apparecchi semiautomatici, oggi molto accurati e assolutamente validati, per eseguirla a nostro piacimento e in piena autonomia; la frequenza dipende dal nostro stato clinico e da eventuali necessità legate alla terapia che si assume; per un soggetto adulto normale e che non assume farmaci è più che sufficiente misurarla una-due volte l’anno, mentre per una persona ipertesa o che assume farmaci che a giudizio del medico possano determinare rialzi pressori nel tempo (alcuni antinfiammatori, cortisonici, alcuni farmaci biologici per la cura di malattie neoplastiche o autoimmuni e altri) è consigliabile controllarla almeno una volta al mese o in presenza di sintomi nuovi quali cefalea, gonfiore alle caviglie, aumento di peso ingiustificato o anche una insonnia di nuova insorgenza, fermo restando che tutti questi sintomi possono benissimo non dipendere dal rialzo della pressione. Il controllo della pressione arteriosa a domicilio (Figura 1) andrebbe fatto al mattino e alla sera, prima dei pasti e prima di assumere farmaci, eseguendo due misurazioni nell’arco di 5 minuti, in situazione di calma e senza parlare, seduti con il braccio appoggiato a livello del cuore (vedi figura successiva); qualora le due misurazioni iniziali siano più o meno uguali si può prendere come buono il loro valore, altrimenti si esegue una terza misurazione e si calcola una media delle ultime due, per avere un valore medio attendibile. I valori normali sono riportati nella tabella seguente e per la pressione misurata a domicilio devono essere inferiori a 135/85 mmHg.

FIGURA 1: COME MISURARE CORRETTAMENTE LA PRESSIONE A DOMICILIO

La misurazione ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM) nota anche come Holter Pressorio è un esame insostituibile per la valutazione circadiana (delle 24 ore) della dinamica pressoria e delle sue variazioni; è una procedura semplice che consiste nel montare un apparecchio di misurazione pressoria classico, con un bracciale auto-gonfiante, collegato ad una piccola scatola di registrazione dotata di un software computerizzato; può essere eseguito a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, a riposo o meglio durante una giornata tipo lavorativa, e viene smontato dopo 24 ore dalla sua applicazione; generalmente esegue misurazioni a distanza di 15 minuti durante le ore diurne e 30 minuti durante il riposo notturno, ma se il medico esige intervalli diversi può essere facilmente programmato al momento del montaggio; è un esame fondamentale perché fornisce indicazioni non solo sui valori pressori durante la giornata, ma anche su altri parametri come la variabilità della pressione arteriosa, la presenza o meno di un suo fisiologico calo (dipping) notturno, sull’entità del carico pressorio medio durante le 24 ore, sull’eventuale rialzo mattutino al momento del risveglio (morning surge); tutti questi parametri, correttamente interpretati da personale medico competente, danno una idea molto precisa su quale sia il comportamento della pressione durante l’intero arco della giornata, a riposo o anche mentre si esegue un lavoro, fornendo garanzie ad esempio sulla efficacia o meno della terapia medica antipertensiva che si assume o sulla necessità di cambiarla, sulla eventuale presenza di una cosiddetta ipertensione “da camice bianco” o “mascherata”; ricordiamo che la ipertensione da camice bianco è caratterizzata dal riscontro di elevati valori pressori nello studio medico con valori invece mediamente normali alla misurazione a domicilio e delle 24 ore, mentre l’ipertensione mascherata è una condizione rara in cui nello studio medico i valori misurati sono normali mentre al proprio domicilio e/o alla misurazione ambulatoriale risultano elevati.

Le indicazioni di questo semplice ma utilissimo esame sono quindi come evidente molte e spesso il medico lo richiede per poter avere una idea chiara e definitiva della dinamica pressoria di un paziente in cui risulta difficile fare chiarezza con la semplice misurazione in studio o anche a domicilio. Nella tabella seguente vengono riassunti i valori soglia per ogni metodo di misurazione poiché ognuno di essi ha degli scarti fisiologici legati proprio alla metodica che si attua e che rappresentano statisticamente i valori di normalità negli studi su migliaia di individui sottoposti ai controlli. Per la misurazione ambulatoriale (ABPM) sono riportati anche i valori soglia da considerare per ogni periodo della giornata.

TABELLA 2: VALORI SOGLIA DELLA PRESSIONE ARTERIOSA SECONDO IL METODO DI MISURAZIONE

Il danno d’organo causato dall’ipertensione arteriosa (HMOD, Hypertension Mediated Organ Damage), come si riconosce e cosa significa

Il danno d’organo comprende tutti quegli effetti negativi che la pressione alta può provocare al corpo umano ed è distribuito praticamente in maniera ubiquitaria, potendo colpire quasi tutti i distretti anatomo-funzionali del nostro organismo; senza entrare troppo nel dettaglio che esulerebbe dallo scopo di questo articolo, possiamo ricordare come i principali effetti negativi dell’ipertensione sono causati su quegli organi e strutture che rivestono un ruolo centrale nel sistema cardio-circolatorio (cuore e circolazione arteriosa) e in quegli organi o apparati che nella circolazione arteriosa hanno un elemento centrale per il loro corretto funzionamento (reni, retina, cervello, apparato digerente); a livello del cuore l’effetto più precoce e principale è l’ispessimento delle pareti del ventricolo sinistro (ipertrofia) e in seguito, qualora la pressione non venga regolarizzata, la progressione verso alterazioni delle valvole fino alla comparsa di aritmie e scompenso cardiaco; a livello della circolazione arteriosa i danni maggiori vengono subiti dall’arteria principale del nostro corpo e dalle sue diramazioni e cioè l’Aorta con le carotidi e le arterie intestinali e degli arti inferiori; a livello degli organi una elevata pressione arteriosa tende a danneggiare organi fondamentali come occhio, rene e cervello; il danno d’organo può essere valutato mediante esami specifici sia di laboratorio che strumentali, che vengono richiesti dal medico curante a seconda della gravità del quadro ipertensivo; per il cuore ECG ed Ecocardiogramma, per le carotidi un ecocolordoppler (eseguibile a volte anche durante un check-up cardiovascolare nella visita cardiologica), per il rene esami di laboratorio ed ecografia, per l’occhio una visita oculistica ed eventualmente un fundus oculi con campo visivo. Naturalmente altri esami più approfonditi possono essere richiesti qualora vi sia il dubbio di un danno d’organo esteso, sopratutto in caso di diagnosi di ipertensione di grado e stadio avanzato.

Il rischio cardiovascolare nel paziente iperteso, come e quanto aumenta con l’aumentare dello stadio ipertensivo

Il rischio cardiovascolare rappresenta la possibilità che si sviluppi una malattia aterosclerotica cardiovascolare (ASCVD) con evento clinico fatale o non fatale (infarto del miocardio, ictus, scompenso cardiaco, grave malattia arteriosa degli arti inferiori), che può poi in realtà colpire il cuore e le arterie di qualsiasi distretto corporeo; è del tutto intuibile che per quanto riguarda l’ipertensione arteriosa maggiore è il grado e più avanzato è lo stadio della condizione ipertensiva maggiore sarà il rischio di ammalarsi di ASCVD; in particolare la presenza di altri fattori di rischio come diabete mellito o malattia renale avanzata o di danno d’organo conclamato aumentano sensibilmente il rischio di eventi clinici, come facilmente riscontrabile dalla tabella 3; per lo stadio 1, dove sono assenti diabete e malattia renale rilevante, è importante valutare anche altri fattori come sesso, età, colesterolo e fumo di sigaretta, utilizzando lo SCORE 2 e SCORE 2 OP risk calculator, per i quali rimandiamo all’articolo sulla prevenzione cardiovascolare presente in questo blog .

TABELLA 3: STADI DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Le terapie consolidate e quelle più recenti e il problema della “ipertensione resistente”

Gli attuali cardini della terapia per la cura dell’ipertensione comprendono misure per la modifica dello stile di vita e terapie farmacologiche, entrambe fondamentali se si vuole ottenere un effettivo e stabile controllo della dinamica pressoria con valori sistolici e diastolici entro i limiti desiderati.

Tra le misure non farmacologiche per migliorare il controllo dell’ipertensione annoveriamo in primis alcuni accorgimenti utili per migliorare il nostro sistema cardiocircolatorio, come una regolare attività fisica e il mantenimento di un peso corporeo entro i limiti adeguati al nostro indice di massa corporea (BMI), abolizione del fumo di tabacco, una dieta povera di sodio (sale da cucina e cibi preconfezionati) e ricca di potassio (verdure, frutta), consumo ridotto di bevande alcoliche, gestione ottimale dello stress compatibilmente con i ritmi moderni di lavoro e personali; tutte queste misure sono inoltre raccomandate dalla OMS per la riduzione del rischio cardiovascolare globale di cui l’ipertensione è uno dei fattori principali (vedi articolo sulla prevenzione del rischio cardiovascolare su questo blog).

La terapia farmacologica rimane il pilastro moderno per la cura dell’ipertensione e fortunatamente annovera oggi molti farmaci in grado di controllare adeguatamente almeno il 95% dei pazienti ipertesi; circa il 5% dei pazienti o anche meno sono affetti da quella che viene definita “ipertensione resistente” una condizione nella quale, anche adottando tuti gli accorgimenti consigliati sullo stile di vita e assumendo sino a 3 farmaci in combinazione, il controllo dei valori pressori monitorato con misurazione delle 24 ore rimane inefficace o comunque non ottimale; in questa piccola percentuale di persone, spesso giovani o di età intermedia, il danno d’organo può essere più rapidamente verificabile e i valori pressori di partenza sono spesso più alti della media degli ipertesi (grado 2 e 3) o tendono ad aumentare nonostante la terapia integrata; la terapia dei casi di ipertensione resistente è una sfida complessa per il medico e spesso richiede molta pazienza e diversi tentativi per ottenere valori pressori almeno discreti se non ottimali, aggiungendo farmaci come gli inibitori dell’aldosterone o altri farmaci di seconda indicazione come alfa-litici o inibitori centrali, mentre talora può essere utile prendere in considerazione terapia complementari a quelle farmacologiche ( vedi in seguito) che però oltre risultati discreti in piccoli gruppi di pazienti non hanno ancora dimostrato efficacia a lungo termine; in questo esiguo novero di pazienti con ipertensione resistente sicuramente non vanno inseriti i pazienti affetti da ipertensione cosiddetta pseudo-resistente, in cui può accadere che un difetto nei metodi di misurazione o una eccessiva reattività emotiva alle misurazioni in studio o anche a domicilio simulano un quadro peggiore di quello che realmente sia; in questi casi è utile e sufficiente spesso utilizzare ripetuti monitoraggi ambulatoriali delle 24 ore o adottare tecniche di misurazione adeguate nello studio medico (ad esempio ripetendo le misurazioni a distanza di tempo maggiore o lasciando il paziente da solo ed evitando l’effetto “camice bianco”) oppure consigliando le misurazioni a domicilio con cadenze non troppo ravvicinate e adottando tecniche di rilassamento prima di eseguirle; un’altra causa della ipertensione pseudo-resistente è la mancata aderenza o compliance dal parte del paziente, spesso volontaria, alla terapia prescritta dal medico; il timore di assumere “troppi farmaci” o l’effettiva difficoltà logistica di farlo per chi ad esempio ha orari di lavoro scomodi possono essere appianati preferendo le pillole singole con più molecole farmacologiche al loro interno, che permettono di ridurre spesso la terapia antipertensiva ad una somministrazione singola quotidiana (in genere al mattino) e migliorano di molto la complicance terapeutica del paziente stesso.

Per quanto riguarda la tipologia di farmaci utilizzati, a scopo di pura curiosità, segnaliamo che fra quelli raccomandati in prima scelta vi sono gli ACE-inibitori, i sartani, i calcio-antagonisti, i diuretici e i betabloccanti, tutti utilizzabili da soli o meglio in terapia combinata di due o 3 farmaci a dosaggi inizialmente ridotti nelle cosidette “polipillole”; altri farmaci utilizzabili in seconda battuta sono gli antagonisti dell’aldosterone (vecchi e nuovi, indicati sopratutto nelle cosidetta ipertensione resistente e nei pazienti con concomitante scompenso cardiaco ), gli alfa-litici e gli alfa2 agonisti centrali; ricordiamo inoltre che la ESH consiglia nella maggior parte dei pazienti ipertesi di iniziare con una associazione di due farmaci a basso dosaggio tra quelli annoverati come prima scelta, scegliendo in base a diverse caratteristiche come età e presenza di malattie concomitanti; per questo motivo è fondamentale che la terapia venga iniziata e monitorata sempre dal proprio medico di fiducia, soprattutto sino a quando non venga raggiunto un risultato soddisfacente e stabile, che deve essere ottenuto in alcune settimane e non in pochi giorni; da evitare infine il rischio maggiore per un controllo non ottimale della dinamica pressoria e cioè l’automedicazione, pratica diffusa quanto pericolosa in cui un paziente regola sulla base di proprie convinzioni personali l’assunzione o meno dei farmaci prescritti dal medico; il rischio è quasi sempre un pericoloso aumento dei valori pressori per uno stop all’assunzione del farmaco o una riduzione dei dosaggi senza che ve ne sia reale bisogno, oppure molto più raramente un eccessivo calo dei valori pressori per una assunzione non necessaria di dosaggi maggiori o di farmaci suppletivi assolutamente non richiesti.

Quanto alle terapie non farmacologiche e basate su procedure interventistiche, ne citiamo per informazione alcune di recente e ristretta attuale applicazione, come la denervazione renale con radiofrequenza e la stimolazione barorecettoriale carotidea; soprattutto la prima trova una applicazione progressivaente maggiore, con meno complicanze e con risultati migliori grazie all’affinamento delle tecniche procedurali e viene riservata ai pazienti con reale ipertensione resistente, cioè che non abbiano ottenuto un controllo almeno soddisfacente con i farmaci in combinazione, ovvero che siano intolleranti per motivi diversi alla terapia farmacologica combinata. All’orizzzonte vi sono anche altre metodiche sperimentali per le quali non è attualmente previsto un utilizzo clinico e che pertanto non riteniamo di dover citare nell’obiettivo di questo articolo, ma che in futuro sicuramente prenderemo in considerazione.

TAKE HOME MESSAGES, ovvero poche cose da ricordare

L’ipertensione arteriosa è una condizione patologica frequente e probabilmente sottostimata, che può colpire anche i giovani e che rappresenta uno dei fattori di rischio principali per sviluppare una malattia aterosclerotica cardiovascolare, potenzialmente foriera di eventi gravi come infarto del miocardio o ictus cerebrale; oltre cuore e arterie principali tutti gli apparati possono essere interessati dai danni conseguenti , in primis reni, occhi, sistema locomotore e digestivo.

La diagnosi di una ipertensione primaria o idiopatica, che è verosimilmente dovuta a fattori genetici e acquisti e rappresenta circa il 90-95% dei casi, può essere fatta agevolmente tramite ripetute misurazioni della pressione nello studio del medico o anche al proprio domicilio, in alcuni casi necessita di monitoraggio delle 24 ore detto anche Holter Pressorio. In caso si sospetti una ipertensione secondaria, dovuta sempre a una causa riconoscibile ed in genere eliminabile o modificabile, relativamente rara rispetto al numero di ipertesi, verranno eseguiti esami di laboratorio e strumentali decisi in base alle caratteristiche cliniche del paziente.

Esistono vari gradi di ipertensione in base ai valori misurati e diversi stadi che determinano diverse percentuali di rischio cardiovascolare. Maggiore è la gravità dell’ipertensione e la concomitanza di altre malattie come diabete o insufficienza renale, più alto è il rischio cardiovascolare.

Le terapie farmacologiche devono essere decise e monitorate dal proprio medico o specialista di fiducia, ricordando che l’effetto significativo e stabile della terapia si ottiene in alcune settimane; esistono principi di stile di vita e farmaci a disposizione del medico che permettono di ottenere il controllo ottimale o soddisfacente della dinamica pressoria nella grande maggioranza degli ipertesi; in casi di ipertensione realmente resistente esistono opzioni terapeutiche di secondo livello che vanno attentamente valutate dal medico; evitare assolutamente la terapia fai da te e l’automedicazione, spesso completamente inopportuna e talora pericolosa.

Contributo divulgativo per la consultazione libera, scritto personalmente dal Dr. Ranalli senza scopo scientifico, riproducibile dietro citazione della fonte. Si ringrazia la ESH per la disponibilità di dati clinici e statistici che permettono una divulgazione e una migliore conoscenza della problematica ipertensiva.

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